🔻 🔻 Il titolo è nella foto 🔻 🔻

[questo articolo sarebbe dovuto uscire almeno due anni fa ma non ho avuto tempo]

Da ora in poi l’ Accedemia della Crusca non ha più scuse. Basta scaricare la colpa sulle vecchie edizioni dei dizionari di Lingua o sull’analfabetismo del popolo italiano. E’ finalmente arrivata la serie più attesa dai linguisti di tutta Italia, adesso non avrete più scampo. Grammatica Drammatika, la guida all’incidente verbale più autorevole che ci sia. PRIMA ED ULTIMA USCITA A SOLI 1.000 EURO

‘L’ (Elle articolo)

Dal latino articulus, da artus, “membro”, “arto”; in greco ἄρθ…

No, scusate, membro in che senso? intendete dire che fino ad ora ho letto, parlato, e a volte anche scritto di membri? Membri di cosa? Di governo? O forse intendete dire proprio membri.. membri, quelli li insomma! Tipo.. non le membra, maaa .. IL MEMBRO (fallico, penico, salvifico, chiamatelo come vi pare). Ecco! Di membri se ne vedrebbero pochi ultimamente soprattutto se si tende di far parte di qualcosa che abbia un significato e che non sia espressione del nulla circostante. Comunque se mi è permesso dire, io credo che la nostra civiltà sia troppo specifica e specificante.

Torniamo indietro un attimino? Era tra il 1582 e il 1583 quando quei buontemponi dei famosi cinque letterati fiorentini (Giovan Battista Deti, Anton Francesco Grazzini, Bernardo Canigiani, Bernardo Zanchini, Bastiano de’ Rossi, Lionardo Salviati. Si sono sei quest’ultimo è arrivato tardi), si riunirono per risolvere un problema tanto dibattuto all’epoca, ovvero un chilo di grano può costare quanto un kilo di pane? Ed è possibile usare la K per scrivere chilo e pronunciare Kilo? Fortuna c’erano loro che già da allora sentivano uno strano perdersi nel vuoto, quel tanto spaventoso e orripilante andare alla membro di cane (cercare su google) , a cui era necessario porre rimedio. E dunque che “H”Demia sia, ed Accademia fu! Ma quindi è proprio vero che anche oggi stiamo andando verso l’ignoto? Magari! Purtroppo oggi sappiamo tutto e di certo non grazie alla Crusca, che dio li benedica, appunto. L’ articolo in questione ne vorrebbe essere una dimostrazione per di più, come noterete alla fine, riuscita male.

Torniamo al nostro articolo, gli articoli, grazie! Ce ne sono così tanti che ho pensato di aggiungerne altri. Ma gli altri cosa avranno voluto dire? Purtroppo credo che ormai più del 99% di quello che leggiamo su internet ha solo uno scopo: farti cliccare su di un qualche link, come anche l’articolo che stai leggendo (quale link poi ve lo dico alla fine) ma questa è un altra storia. Per essere onesto vi faccio un esempio di come il restante 1 % degli articoli presenti nel web abbiano una qualche utilità. Avete mai sentito l’espressione cari tutti ? Io, effettivamente si, a volte l’ho anche pronunciato, ma dicendo al massimo cari, per non dire, “a’ facce di s****i, buongiorno/buonasera”. Insomma l’ennesima espressione a cascata che potrebbe generare confusione e malintesi, Cari tutti e Care tutte, genera indovinate un po? Problemi, vistosi problemi.

Tanto che tra le ipotesi per risolvere la sua non ovvia neutralità insita nella desinenza della lettera “i”, (al contrario ad esempio dell’espressione care tutte) gli studiosi della prestigiosa Accademia hanno pensato che, sempre dietro notevoli spargimenti di sangue (e d’inchiostro) linguistici ed epistemologici, si potrebbe pensare di adottare la formula scritta car* tutt*. Considerazioni analoghe sono state fatte per l’espressione carə tuttə, che differisce dal car* tutt* solo in quanto include lo schwa, che non si pronuncia come la Shoah anche se sembra avere effettivamente origine dalla stessa lingua, l’ebraico.

Giustamente ora mi sono perso anchio, e sono incappato proprio nel problema che stavo cercando di risolvere tirando in ballo l’accademia della crusca, ecco, non datemi retta e soprattutto non datevi pena. Abbandonate anche voi ogni pretesa linguistica se per caso ne avevate l’ambizione e attenetevi alle regole date nella lingua italiana. Se non le ricordate continuate a leggere altrimenti continuate a leggere lo stesso.

Articoli determinativi: cioè che si riferiscono a determinate cose o persone, il coso per i nomi maschili che iniziano per consonante (p. es. il pene) e lo coso per i nomi maschili di età preistorica (p. es. lo cazzo), la cosa per i nomi dall’odore femminile (p. es. la figa) e l’ apostrofo per i nomi che iniziano con vocale (p.es. l’apostrofo). Se invece ve ne serve più di uno o più di una allora i cosi e le cose è quello che dovete usare.

Articoli indeterminativi si usano per qualsiasi cosa non abbia un termine ovvero non sia determinata e che quindi è indeterminata, cioè è una cosa qualsiasi o un coso qualsiasi (notate che la parola qualsiasi è uguale sia per un coso che per una cosa quindi è irrilevante e indeterminato ma ha un sesso) si usa uno coso sempre se a parlare siete voi ma vi trovate nel medioevo.

Infine, per scrivere questo articolo ho scoperto che esistono anche gli articoli partitivi che esprimerebbero una quantità indeterminata e cioè una parte di un tutto. Se anche voi come me non avete capito a cosa serve, sappiate solo che esistono e sono del coso e dello coso per il singolare e dei cosi e delle cose per il plurale (whatta..?). Per fare un esempio di facile comprensione, quando siete nei campi e vi serve del concime biologico per il terreno, direte al vostro compagno lavoratore la frase “Per favore passami dello sterco” e lui vi capirà al volo.

Bene credo che per questa prima e spero ultima lesson sia tutto, sappiate solo che su Google c’è chi cerca la frase “come esprimere perplessità nei testicoli” senza specificare se i testicoli sono maschio o femmina. La prossima volta spero che qualcuno cerchi di spiegarmi qualcosa a parole, nella realtà mi hanno detto che la gente ancora si parla. Lo spero, io che sono una macchina (non nel senso letterale) e che scrivo solamente dopo aver consultato le intelligenze artificiali, non posso esimermi da questo compito gravoso (lo scrivere) e spero che un giorno qualcuno legga questo articolo e dica: “ah vedi l’articolo ‘Elle‘ articolo è una signora, per di più francese, trattiamola bene.

[Ecco il link che vi dicevo, abbiate la bontà di cliccarvici e sostenere questo indefesso lavoratore dell’inchiostro (fesso viene dal latino fessus – che significava appunto stanco, affaticato, esausto, sfinito, spossato, demoralizzato.) CLICCATE QUI  ► https://ko-fi.com/francescosesto ]

Quale Bandiera?

Whatta flag

Prima di scrivere questo articolo è d’obbligo fare una premessa. Il testo che segue non parte da nessuna posizione prevenuta e complottista, ma scaturisce da profonda riflessione dando per assurdo ipotesi poco credibili ma dagli esiti tutt’altro che scontati.

Il tutto è scaturito da un analisi della bandiera americana, l’immagine che potete guardare anche qui sopra. Personalmente ed emotivamente parlando ho sempre trovato che sia una bandiera molto affascinante, carica di significato, cultura, cinema, avventura, ma anche un immagine che sprigiona potenza economica, bellica e soprattutto, per farla breve e per dirla in maniera semplice, patria della statua della libertà

Al di la di tutto questo, ad una semplice analisi visiva, partendo semplicemente dai colori, il mio senso estetico ha sempre visto in essa qualcosa di stupendo, sia pel’accostamento, sia per i simboli: le stelle su di uno sfondo blu ricordano un cielo stellato e poi le righe rosse, efficaci e contrastanti, come anche la tonalità del rosso, il tutto semplicemente meraviglioso.

Guardandole bene però non sono mai riuscito a spiegarmi il perché delle righe bianche e rosse, che cosa significano? Come tutti sappiamo ogni bandiera nasce da un idea, da un evento significativo e non è un semplice accostamente di colori che ha guidato il senso estetico di chi l’ha eletta come propria bandiera, appunto.

Comunque, partendo da questa riflessione e senza andarmi a documentare nell’imperuranio delle idee umane che ha volta subiscono la censura dei governi, ovvero google, ne tantomeno aver letto un libro o seguito un corso, quindi nella più totale e assoluta ignoranza, mi sono immaginato di sovrapporre la bandiera americana all’immagine del mappamondo che siamo abituati a vedere noi europei (quello con l’europa al centro, l’america a sinistra, e l’asia a destra, per dirla breve)

Dunque con la bandiera espansa, togliendo il mare (lasciato come spazio bianco)è facile notare che le stelle coincido proprio con il territorio dell’attuale Canada e USA! Andando avanti con la speculazione teorica però notavo che c’erano sempre più cose che non mi risultavano chiare, così mi sono chiesto quale potesse essere il significato delle strisce bianche e rosse e perché proprio di quel colore. E come mai nella mia sovrapposizione è proprio il resto del mondo a coincidere esattamente proprio con quelle strisce. Pensare a questo mi ha portato sempre di più a fare accostamenti impensabili e via via sempre più assurdi.

Cosi ho provato a ipotizzare che quelle stelle non sono semplicemente i 50 stati americani (come vuole la rappresentazione ufficiale), ma rappresentano l’essenza americana stessa con le sue stelle del cinema, della musica e della cultura in generale ed in effetti l’immagine della bandiera ingrandita e sovrapposta sul mappamondo coincide proprio geograficamente allo stato americano.

Allora perché gli altri stati sarebbero visti come bianchi e rossi? Anche qui la domanda non sembra avere una facile risposta. La mia prima ipotesi è stata che quelle strisce abbiano uno scopo diverse da quello di essere semplicemente delle strisce e piuttosto vogliono indicare un “livellamento” del resto del mondo? Un livellamento ideale ovviamente e molto generico ma comunque un livellamente.

Probabilmente il livellamento è gia avvenuto e sto qui a parlare del nulla ma puo anche darsi che qualsiasi riga orizzontale suggerisca comunque un certo appiattimento. Analizzando bene il significato di una riga orizzontale non potevo non notare come esprima una certa calma e quiete, una sorta di base, come la terra su cui poggia qualcosa, o l’orizzonte in un disegno, un un mare calmo, soprattutto se non vi è presente nulla che aggiunga un po’ di varietà alla composizione, infatti per chi è avvezzo al lavoro artistico creativo ma anche psicologico, spesso le righe orizzontali fanno risultare un immagine decisamente “noiosa“.

Eppure qualcosa ancora non mi quadra, è come se nel disegno via sia una qualche incompletezza! Forse noi del resto del mondo siamo visti come dei paesi noiosi e potenziali stelle anche noi? Il mio pensare male mi ha portato indubbiamente a fare queste riflessioni, e a credere che chi ha disegnato la bandiera l’avesse apposta disegnata incompleta, con il chiaro intento futuro di trasformare in stelle anche le strisce bianche e rosse restanti fino a farle sparire del tutto dalla composizione!

Sembra assurdo vero eppure la mia mente mi suggersice questo, ma piuttosto che ricadere in una spirale pessimistica e quindi vedere dietro di ciò una volontà imperialista o un complotto come d’altronde avviene in molti ambiti culturali e di ispirazione anti occidentalista, preferisco immaginare che i padri fondatori americani ci trovassero noiosi già da allora, e credo anche non a torto.

Alla fine di questa breve analisi che nella realtà ha però richiesto giorni di duri sforzi celebrali ho deciso di informarmi e probabilmente avrei fatto bene a farlo prima, proprio perché, successivamente a questa lettura, ho scoperto che le 13 strisce rosse e bianche originariamente simboleggiavano le prime colonie americane. Quanto ai colori, il bianco rappresenta la purezza, la libertà e l’uguaglianza, il rosso il valore, il coraggio e il sangue dei caduti; il blu è simbolo di vigilanza, perseveranza e giustizia. Inoltre ho scoperto che il suo soprannome sarebbe Old Glory.

Non chiedetemi quali problemi reali mi spingano a scrivere un articolo del genere, piuttosto chiedetevi perché in Africa esiste uno stato che si chiama Liberia e che ha adottato come sua bandiera una copia della bandiera americana ma con una sola stella…

Meglio una Spice o le spice?

Spezie o superfood?

Che siano usate per colorare, insaporire, come medicinale o per preparare profumi e unguenti, le spezie hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nella storia dell’umanità. Già in antichità come la seta e le pietre preziose, le spezie venivano pagate in oro e procurarsele era causa di guerre, apertura di rotte commerciali e addirittura scoperta di continenti.

L’uso delle spezie è precedente alla storia scritta, i Cinesi usavano già la cannella nel 3000 a.C. e gli antichi Egizi usavano le spezie per l’ imbalsamazione. La Bibbia menziona più volte le spezie come merci di grande valore. Mosè aveva unto l’Arca dell’Alleanza con cannella e cassia, i Fenici, popolo di mercanti e navigatori, ebbero il ruolo di distributori commerciali di spezie nel Mediterraneo e i Greci seguirono diverse rotte per il trasporto delle merci dall’Oriente, per non parlare più recentemente della Compagnia olandese delle Indie Orientali che per controllare la produzione di chiodi di garofano e noci moscate fecero sradicare intere piantagioni e ne consentirono la coltivazione solo su determinate isole, ostacolando ogni forma di commercio, per impedire che Cinesi ed altri commercianti vendessero spezie ai Portoghesi ed Inglesi. I loro profitti furono altissimi.

Il successo fu tale che portò ad una saturazione del mercato europeo e ad una svalutazione della spezia, per cui ad Amsterdam si bruciarono le scorte accumulate in 10 anni per mantenere i prezzi alti sul mercato europeo.

Anche nel film Dune “la spezia” è il perno intorno al quale gira la trama del film.

Non vorrei dilungarmi oltre, se ti interessa l’argomento guerra puoi benissimo trovare un sacco di libri che parlano di quanto le spezie hanno procurato sofferenza nella storia dell’umanità. Il motivo è semplice, le loro proprietà sono a dir poco eccezionali. Il senso del gusto e dell’olfatto che influenzano la nostra predisposizione verso un alimento sono notevolmente influenzate da esse. Dolce, salato, amaro e acido non sono le qualità principali identificate dal gusto per i giapponesi esisterebbe l‘umami, letteralmente “saporito”, anche la vista è fondamentale per riscoprire un alimento di nostro piacere, e non a caso le spezie spesso ci regalano colori meravigliosi. Aumentare il loro consumo vi farà venire l’aquolina in bocca proprio perché stimola alcuni ricettori. Per gustare appieno le spezie è fondamentale avere uno stato d’animo rilassato: stress, ansia e depressione sono nemiche del piacere. Come anche essere sovrappeso è un gran nemico del gusto e alcune spezie in questo possono essere di buon aiuto.

Le spezie piccanti

Forse tra la tipologia di spezie più apprezzate da millenni, sia in cucina che come terapia, una punta di piccante ogni pasto può rafforzare polmoni e combattere il raffreddore oltre che risultare benefico sulla circolazione sanguigna. Avete presente il sapore piccante? ecco oltre a stimolare salivazione e secrezione di succhi gastrici, il piccante può risultare utile per la conservazione degli alimenti, tuttavia potrebbe irritare gli occhi o la pelle se a contatto prolungato. Anche il loro consumo eccessivo può irritare la mucosa gastrica. Nei miei esperimenti ho inserito un discreto quantitativo di peperoncini in una bottiglia di alcol denaturato, quello rosa per intenderci, e sembra risultare utile per curare dolori articolari e muscolari, il suo potere riscaldante però può risultare fastidioso per alcuni.

Nella medicina cinese il piccante è associato all’elemento metallo. Pepe, peperoncino, pepe di Sichuan, pepe della Giamaica e pepe rosa sono solo alcune delle più famose spezie piccanti.

Le spezie Amare

Le spezie amare sono spesso considerate sgradevoli e respingenti poichè il nostro organismo le mette in relazione con alcuni alimenti velenosi, tuttavia il loro consumo può risultare utile per la salute. L’amaro è un aperitivo e può essere usato per stimolare l’appetito nonché migliorare la digestione di grassi e proteine, utile quindi per gli sportivi che fanno uso di integratori alimentari. Poco utilizzate in cucina e mai in grandi quantità se aggiunte con moderazione possono migliorare anche la salute del fegato.

Nella medicina cinese sono associate all’elemento fuoco. Spezie amare diffuse sono assenzio, corteccia di angostura, ginepro, mirto.

Spezie dolci

Chi di voi saprebbe spiegare quell’irrefrenabile voglia di dolce? Probabilmente pochi, in quanto quando ne siamo affetti difficilmente abbiamo l’energia necessaria per rifletterci, in effetti l’inspiegabile voglia di dolce sembra proprio rispondere a risorse energetiche che proprio non disponiamo, un loro utilizzo eccessivo però può danneggiare e rallentare il metabolismo. Tra le spezie dolci troviamo la vaniglia, la cannella che hanno anche una funzione calmante e benefica per le vie respiratorie, come la vaniglia e toniche, digestive e antinfiammatorie per la cannella.

Secondo la medicina cinese il sapore dolce è associato all’elemento terra. Tra le spezie dolci più comuni abbiamo cannella, stevia e vaniglia. (la stevia fra l’altro è un ottimo sostituto dello zucchero)

Le spezie acide

Il gusto acido ci dice che siamo in presenza di un alimento ricco di acidi organici che offrirà un certo apporto di vitamine e minerali, utili in caso di stanchezza.

Per la medicina cinese il desiderio di acido è correlato all’ansia e può essere utile per indurre serenità. Il sapore è associato all’elemento legno. Fra alcune spezie acide famose vi sono amchoor molto usato nella cucina indiana, il cappero, il kokum e il tamarindo.

I pigmenti sono delle sostanze che, finemente disperse in acqua sono capaci di colorare per sovrapposizione, cioè di coprire la superficie di un manufatto o di un oggetto di uno strato colorato aderente (diversa perciò dai coloranti, che penetrano all’interno). I pigmenti delle spezie possiedono quelle proprietà antiossidanti in grado di contrastare l’invecchiamento cellulare e lo sviluppo di tumori così come di malattie degenerative. Questo poiché le piante esposte al sole sviluppano un meccanismo di autodifesa che quando ingerita si trasferisce anche all’essere umano. Il giallo è un pigmento molto diffuso nelle spezie e molto apprezzato dal nostro organismo. Fate attenzione però con questo non sto dicendo che dovrete ingerire i colori che usate a scuola per dipingere 😀.

Mi sembra giusto concludere che se non hai problemi particolari qualsiasi pianta, seme, radice o bulbo che si trovi in natura se non è velenoso, in piccole dosi non può che farti del bene, per cui vale il detto la miglior spezia è quella che ancora non hai provato. Saluti, bon appetit e non dimenticare il sale.

100% Soddisfatti o Schiavizzati


5 grandi idee X capire l’ economia

Oggi quando si parla di economia non è possibile non pensare ad essa come al motore della società contemporanea. Ma è sempre stato così? E perché quando in tv parlano di economia ci sentiamo sempre troppo impreparati? Il motivo è che infarciscono dei concetti molto semplici con termini molto complicati ma che per gli addetti ai lavori sono di grande utilità. Ecco a voi 5 grandi idee e concetti di economia indispensabili per capire l’economia oggi.

MONETA

Sembra banale ma questo concetto è fondamentale per capire tutto il resto. Senza moneta saremmo costretti a scambiare beni o ad offrire servizi per ottenere qualcosa in cambio, in pratica ricorreremmo al baratto. Il tutto sembrerebbe facilitare le cosa ma in realtà non è così, immaginate ogni volta che vi recate in un negozio di portarvi dietro tutti i beni che vorreste scambiare e di volta in volta decidere con il negoziante il valore da attribuirle. Probabilmente le contrattazioni sarebbero infinite e vi passerebbe la voglia a meno che non siete degli amanti della discussione. La moneta è come una lingua comune che facilita il tutto ed ha molteplici funzioni, da una parte è un mezzo di scambio dall’altra è il parametro base a cui si attribuisce un prezzo alle cose. Il denaro può inoltre avere un valore intrinseco come l’oro che è una merce moneta, oppure ne può essere privo come le banconote il cui valore è più o meno dato da un governo. La moneta è così importante oggi che, misurarne la quantità che gira all’interno di un sistema economico, è un modo per stabilirne il suo stato di salute. Se poniamo bene attenzione la moneta è molto di più del suo semplice valore di unità di conto ma è uno stato mentale, le banconote che teniamo in tasca infatti valgono molto di più del materiale di cui sono fatte, l’idea chiave è che essa è simbolo di fiducia.

VALUTA

Tecnicamente la valuta è un unità di scambio che ha lo scopo di facilitare lo scambio di beni e servizi. Oggi potremmo pensare che la valuta è la moneta ma non è così. E’ vero il contrario cioè che qualsiasi forma di moneta è una valuta (dalle conchiglie al Bitcoin). E’ anche vero pero’ che quando si parla di valuta generalmente ci si riferisce ad una monetazione standard ed ai sistemi che si sono sviluppati oggi. Non è necessario ripercorrere qui una storia della valuta, basti sapere che nel mondo esistono 206 paesi e circa 180 diverse valute. Però il dato può essere fuorviante, perché una manciata di esse sono dominanti negli scambi internazionali come ad esempio il Dollaro (USD), l’Euro (EUR) la Sterlina (GBP) e lo Yen e Dollaro Australiano, e spesso circolano in maniera parallela in paesi che ufficialmente ne usano un’altra. In realtà la stragrande maggioranza delle valute minori sono agganciate ad una valuta maggiore. La figura qui sotto mostra com’era la situazione delle aree valutarie nel 2015.

Di pari passo con la valuta va il concetto di Tassi di Cambio. Il tasso di cambio viene definito come quante unità di moneta estera sono necessarie per acquistare una unità di moneta nazionale. Facendo un esempio pratico diciamo che, se per acquistare 1 euro sono necessari 1,10 dollari, il tasso di cambio tra euro e dollaro è di 1,10, e questo è determinato dallo scambio che avviene sul mercato monetario. Per sintetizzare possiamo dire che la valuta è il barometro della situazione di un paese.

BANCHE

E’ difficile pensare al sistema economico globale senza le banche, eppure nella storia dell’umanità la loro presenza è diventata determinante da solo alcuni secoli. Dalla fondazione della prima banca riconosciuta come tale (Banco dei Medici) avvenuta nel 1397 d.C. ad oggi, sono passati poco più che 600 anni eppure non potremmo immaginarci la vita senza di loro. Le banche sono quelle istituzioni che mettono in contatto chi presta denaro con chi ne ha bisogno. Chi gestisce i flussi di denaro sono proprio loro, operano sui mercati finanziari, e prestano denaro agli stati. Molto importanti a livello mondiale sono le banche centrali che si occupano di gestire le politiche monetarie di una nazione, sono spesso indipendenti dal potere politico e si preoccupano di mantenere l’economia al riparo sia da eccessive espansioni che da eccessive recensioni, secondo William McChesney Martin, un leggendario presidente della Federal Reserve Bank, il compito della Banca Centrale è di portar via la coppa dello Champagne proprio quando la festa comincia a riscaldarsi. Secondo il celebre scrittore Mark Twain un banchiere è colui che vi presta l’ombrello quando c’è il sole e ve lo richiede quando comincia a piovere. Le banche centrali più importanti nel mondo sono la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea e la Bank of Japan.

MERCATO

Il mercato inizialmente era visto come il luogo fisico dove si incontravano acquirenti e venditori. Oggi però con mercato si intende l’insieme della domanda e dell’ offerta, in termini equivalenti microeconomici o macroeconomici, il mercato è definito come il punto di incontro della domanda e dell’offerta. Quindi non più solo luogo fisico ma anche e soprattutto luogo virtuale. Esistono quindi molti tipi di mercato, si va da quello del pesce a quello delle criptovalute. Ma i più rilevanti a livello economico globale sono il mercato Obbligazionario ed il Mercato Monetario. Il primo è il luogo dove gli stati si indebitano e si procurano il denaro necessario sotto forma di obbligazioni (cioè una sorta di cambiale dove si promette di restituire del denaro preso in prestito). Il secondo è dove avvengono scambi su strumenti di debito, denominati in valute diverse (nazionali o straniere). Il mercato monetario è fondamentale per la raccolta della liquidità necessaria al funzionamento ordinato del sistema finanziario globale.

PRODOTTO INTERNO LORDO

Altrimenti detto PIL, è un dato economico, letteralmente il dato economico più grande per uno stato. Misura infatti il reddito totale e la spesa di un paese. Ed è il criterio principale per valutare l’andamento economico di un paese. Se pensiamo ad uno stato come ad una grande famiglia, il PIL è il budget della famiglia nel suo complesso.

La frequenza con cui viene citato ci dice chiaramente che il PIL è un indicatore molto importante. Non a caso dà un’idea della grandezza di un’economia e permette di confrontare la crescita di due Paesi. Essendo un dato economico il suo scopo è quello di essere usato per fare calcoli: per esempio, se rapportato al debito, è utile per capire quanto un Paese sia in grado di ripagare il proprio debito pubblico. La classifica globale al momento vede condurre i giochi gli Stati Uniti, seguiti da Unione Europea (come dato aggregato dei suoi singoli paesi) e Cina.

Il PIL “pro capite” (ovvero diviso per il numero degli abitanti del Paese a cui si riferisce), ci dà una prima informazione sul benessere medio della popolazione.

Avrai notato come nel mercato delle obbligazioni, gli stati chiedono dei prestiti alle banche, una cosa che però non sai è che oggi tutti i paesi del mondo sono indebitati, tutti tranne cinque paesi e cioè la regione speciale di Macao in Cina, le Isole Vergini Britanniche, il Brunei, il Liechtenstein, le isole Palau. Molti paesi occidentali, fra i quali l’Italia ha un debito che supera il 100%, il che significa che se da un giorno all’altro fosse loro richiesto di doverlo ripagare, rimarrebbero letteralmente senza nemmeno le mutande.

Se ti interessa sapere nello specifico fra tutti spicca il Giappone (257%), davanti al Sudan (212%) e alla Grecia (210%). Poi gli Stati Uniti, hanno un debito del 133% il proprio PIL, mentre il Canada del 116,3%. In Europa, l’Italia ha un 157,1%, il Portogallo 131,4%, la Francia 115,2% o il Regno Unito 107,1%.

Sembra chiaro come questi paesi sono letteralmente RICATTABILI, o forse non è così semplice?

Se facciamo finta che la guerra …


Regime comunista vs regime del debito

Nel precedente articolo abbiamo visto cinque strumenti teorici per capire l’economia, nell’ultima parte in particolare ho fatto riferimento al debito pubblico diviso per paesi, (riporto la cartina qui di fianco). La domanda nasce spontanea, come diceva il buon Lubrano. Sarà un caso che la Russia abbia un debito pubblico inferiore al 25% ?

La risposta alla domanda richiede alcune premesse storiche. In primis possiamo dire che le potenze Comuniste, soprattutto la potenza comunista per eccellenza, l’ex Unione Sovietica, proprio per sua natura non adottava un politica del debito, ma invece perseguiva i suoi obiettivi economici per programmi! Cosa significa? Significa che lo stato decideva quanto, quando e cosa produrre, quanta forza lavoro e quanta tecnologia utilizzare, il tutto cercando di far quadrare la situazione sociale senza che ci fossero scossoni o messe in discussione su chi fosse al potere. Per fare ciò uno strumento erano i piani quinquennali che di volta in volta, ogni 5 anni, riprogrammavano le esigenze dello stato in base ai bisogni strategici della nazione e della sua popolazione (in teoria).

Questo non significa che era tutto rose e fiori, anzi, spesso le cose erano drammatiche, uno perché lo stato di allerta guerra globale era una costante e dunque la spesa militare era costantemente una priorità della programmazione economica e due che la possibilità per alcuni gruppi di autodeterminarsi era praticamente impensabile, basti guardare al caso dell’ Holodomor, o fame programmata. Un processo politico tra l’autunno del 1932 e la primavera del 1933, attraverso il quale il governo di Mosca decise la collettivizzazione agraria, costringendo anche i kulaki, cioè i contadini agiati (coltivatori diretti o piccoli proprietari terrieri), ad aderirvi contro la loro volontà. Per fare ciò si procedette alla collettivizzazione del 70% delle fattorie solo in Ucraina, considerato il granaio di Europa, contro il 59% della Russia, affamando di fatto la popolazione. Il risultato furono 5 milioni di morti di cui 4 milioni solo nella regione dell’ucraina.

Che il modello comunista non era il massimo del buon governo già lo sapevamo, ma anche l’occidente liberista non è stato poi così innocente come vuole sembrare. Di certo la politica economica dei paesi Usa e Ue ha apportato benessere negli stati occidentali tanto che possiamo affermare di vivere in un certa agiatezza rispetto a molti paesi del mondo. Ma questo ha portato interi governi ad indebitarsi in maniera inverosimile, tanto da rimettere le loro sorti nelle mani di banche e organismi finanziari e producendo occasionalmente degli squilibri tali da generare crisi economiche che innescavano dinamiche di prezzo perverse che spesso sono degenerate in vere e proprie guerre in vari paesi del mondo, spesso a causa del controllo delle risorse economiche.

L’osservazione che mi viene da fare a questo punto è se la guerra iniziata con l’invasione militare il 28 febbraio 2022 in Ucraina da parte della Russia sia la continuazione della guerra fredda oppure ci sia qualcos’altro.

La Russia, che in questo momento sembra essere il nemico numero uno del mondo libero, e che ha abbandonato l’idea di comunismo è fra gli stati che non si sono indebitati e che quindi hanno ancora voce in capitolo nel colloquio con le grandi banche e istituti finanziari globali, sta innescando dinamiche che vengono rese ancora più pericolose dal fatto che stati come Usa ed Unione Europea sembrano soffiare sul fuoco anziché spegnerlo (sia perché continuano a donare armi alla difesa ucraina, sia perché le continue provocazioni sembrano voler scatenare un futuro scontro bellico diretto tra potenze economiche, la cosiddetta 3a guerra mondiale).

Il fatto che la Russia provenga da una storia diversa dalla nostra è resa ancora più evidente dalle azioni degli influencer russi che distruggono sprezzanti tutti i simboli del benessere occidentale (sempre che siano azioni spontanee), famosi i casi in cui borse griffate e vestiti vengono buttati nei cassonetti in seguito alle sanzioni imposte dal mondo occidentale alla Russia, sanzioni a detta di economisti russi che sembrano non scalfire la loro economia (in effetti gli export per la Russia non sono ancora diminuiti, mentre le importazioni sono cessate forzatamente, il che significa per ora che la bilancia dei pagamenti è in attivo).

Il tutto quadra perfettamente e non si può non ammirare la capacità della Russia di essere in grado di resistere alla guerra economica pur essendo essa stessa nel mercato globale con le sue regole da poco più di 30 anni nonostante tutto il resto sembri essersi piegato alla logica perversa del debito, che per ora rimane ancora la grande incognita occidentale.

P.s. Mi sono permesso di usare il termine regime del debito per semplificare la situazione, il fatto è che i governi occidentali si sono visti poco negli ultimi decenni sui temi fondamentali dell’umanità, se non per assecondare la perversa logica del debito. Le conoscenze tecniche e scientifiche non sono ancora in grado di migliorare la vita delle persone semplicemente perché la logica del mercato ancora non le ha inglobate, perché non esistono stati che facciano valere la loro voce in merito a questioni quali inquinamento, lavoro, sfruttamento etc. Vi prego dimostratemi nei commenti che non è così.

Il mercato sta con Blu

1973581_1007907725930045_4582103673214093730_oNulla di nuovo sul fronte arte. Tutti gli artisti, scrittori, creativi, prima o poi hanno fatto una cernita delle loro opere, eliminandone qualcuna per i più disparati motivi, famosa la massima di Bulgakov “i manoscritti non bruciano”  che intendeva denunciare il governo dell’ URSS ed esprimere la sua frustrazione per la condizione di letterato respinto in ogni sua iniziativa. Più o meno è quanto sta accadendo all’artista/writer Blu, il quale ha cancellato il suo ultimo lavoro per denunciare le mostre istituzionali che tolgono le opere dalla strada e le mettono fuori contesto, secondo lui questa è una forma di prevaricazione. Chi lo dice che un graffito che nasce site-specific dovrebbe morire tale?  A questo punto, secondo questa logica, anche il Museo Egizio di Torino dovrebbe trovarsi a El Cairo ai piedi delle piramidi! Non solo un operazione mediatica quindi, interessante perché la cancellazione di un graffito sia partita dell’autore stesso, ma anche azione politica che se priva di qualsiasi giustificazione renderebbe il gesto esclusivamente azione estetica.  L’arte ha le sue leggi, i suoi mercati, le sue strade e questo Blu lo sa benissimo, come sa che un operazione di strada, definita un reato, secondo la legge, è assurdo che poi venga esposta e resa istituzionale, per intenderci è come se da domani il Ministero degli interni organizzasse workshop sulla legalità tenuti da criminali con sentenze passate in giudicato. Il mercato dell’arte e con esso le istituzioni, non stanno facendo altro che mostrarci un controsenso, dal quale e per il quale le autorità governative legiferanti dovrebbero partire e prendere spunto per rivedere le loro leggi. La protesta di Blu è interessante ma cade nel limbo della vana protesta se non è accompagnata da tutta una serie di persone e argomenti che fanno quadrato intorno alla sua azione. A questo punto, io non sto solo con Blu, ma sto con tutti quelli che continuano a regalare magnifici graffiti e che continuano a sperimentare con questo tipo di arte, sia per le strade e negli angoli tristi delle città sia dentro le gallerie.

Lucano

Il Circo del Grande Evento: Teniamo Ben Dur

unnamed (2)E’ Venerdì, siamo all’interno del Centro Commerciale il Circo di Matera, un giorno importante per la Gerusalemme di Basilicata, mentre a pochi km da qui in quasi tutti i paesi della regione i comitati No triv sono in fermento per l’organizzazione di eventi in tutta la regione per chiedere al Presidente l’ impugnazione del Decreto Sblocca Italia, qui a Matera si è in fila per le selezioni del remake del film Ben Hur. La coda è composta da centinaia di persone, e appena arrivati l’organizzazione ci chiede di stare buoni, oggi selezionano comparse specializzate, cavalieri e legionari, potenziali rivoluzionari. Anche io mi sono fiondato in questo evento straordinario. Se vengo selezionato mi pagheranno ottanta euro al giorno per circa due settimane, soldi che qui in Basilicata sono una fortuna. Da quando Matera è stata scelta come capitale della cultura del 2019 in tutta la città si vedono commercianti e cittadini con le spillette con il logo dell’evento, e tutti si stanno improvvisando a grandi esperti di cultura internazionale. Ma torniamo alla fila, sono le 15 e da circa un ora sono in attesa del provino, con in mano una fotocopia del documento d’identità, codice fiscale e codice iban. I buttafuori sembrano divertiti, la gente chiacchiera, nessuno è rasato. Dai tempi del Vangelo secondo Matteo di Pasolini, ogni volta che c’è una selezione, si mormora che sceglieranno gente con la barba lunga, ma qui la cosa più lunga è l’attesa. Davanti a me sento mormorare, i selezionatori stanno facendo una pausa, così con due miei compagni di fila decido di spostarmi nel vicino supermercato per fare una pausa dalla mia postazione, entro nel tempio degli acquisti e anche qui è pieno di gente con il numerino in attesa di ritornare ai propri posti nella fila, le cassiere scherzano ed io decido di ibernarmi per pochi minuti.

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Prendo la mia birra e torno alla fila che intanto si è spostata di qualche metro, a dire dei veterani i selezionatori sono una famiglia romana che dai tempi di Pasolini organizzano provini nella città, uno degli organizzatori esce fuori per dare un occhiata alla fila, sembrano tranquilli e per nulla stressati a differenza di noi, uno della fila comincia a urlare contro l’organizzazione, il romano lo tranquillizza dicendogli che loro non sono responsabili diretti della selezione e che tutto il materiale che stanno raccogliendo verrà spedito a Londra. Dopo circa due ore arriva il mio turno, il primo punto di controllo è in un salone grande, tre tavoli con due ragazzi per ognuno, ti chiedono i documenti, do i miei dati e il codice iban e subito mi sento dire che l’iban non va bene, serve l’intestazione della Banca, mando giù il rospo, respiro e gli dico che l’iban è il mio, non avrebbe senso dare un iban di un altra perona, loro dicono di saperlo ma che non possono fare nulla, e che non sono il primo ad aver mandato via. L’alternativa sarebbe andare alla posta e chiedere la carta Evolution, costo: 5 euro. Mi chiedo se non sia uno spot pubblicitario delle amiche Poste Italiane, intanto altri ragazzi hanno lo stesso problema, voglio evitare la rissa, li calmo e dico che possiamo telefonare alle nostre banche e chiedere il documento in versione digitale. Nel centro c’è una copisteria e possiamo stampare il documento richiesto. Ci allontaniamo e ci mettiamo al lavoro, ognuno chiama la sua banca e cerca di risolvere come meglio può, chiamo la mia filiale del Banco di Napoli, dopo la chiusura di molte filiali nella provincia, tutti i correntisti accorrono all’unica filiale rimasta nella città di Matera, anche qui disorganizzazione, dopo una prima telefonata dove una signorina mi dice di restare in attesa capisco che non riuscirò a tornare a casa prima delle 22. Prendo un altra birra, questa volta andiamo di super, 8.6 gradi alcolici mi dovranno calmare per forza. Mentre sono alle prese con la Banca, vedo passare uno degli organizzatori, lo sento parlare di una ragazza che era per le selezioni, dice che “quella lì non và da nessuna parte, è buona solo per andare a lavare i piatti”. L’alcol comincia a fare effetto contrario e l’atteggiamento di questo caporale mi comincia ad innervosire, gli vado vicino e gli chiedo come mai i loro sottoposti non accettavano il mio codice iban. Lui comincia con tutta una serie di frasi calcolate a dirmi che non è possibile e che l’importante è aver scritto il codice iban e che sia intestato a me. unnamed (1)Dopo una serie di urla reciproche, gli dico che il loro sistema sta per crollare. Lui mi guarda e ride, dice che non crolla niente, ma negli occhi tradisce un filo di paura. Nel frattempo mi arriva una telefonata da uno dei commilitoni in fila, mi dice di ritornare al punto di controllo perchè stanno accettando tutto, vado e magicamente il mio codice iban viene accettato. Passato il primo check in, mi invitano a fare un altra fila, qui la gente è più rilassata, anche se la temperatura comincia a salire, tra facce stanche ed arrossate, volti fieri eredi di contadini e cacciatori a elemosinare un posto da soldato. Accalcati veniamo spinti in un altra sala più grande, due ragazzi sono seduti ad un tavolo lungo e scrutano i corpi dall’alto in basso, ti chiedono quanto sei alto ed il numero di telefono, mi danno una targhetta da tenere all’altezza del petto, fotografia con un compatta, riconosco il modello a dire il vero è un po’ datato, click. A casa. Esco dalla stanza e mi ritrovo fuori con altra gente, non sappiamo il perchè ma ci sentiamo tutti insoddisfatti.Con i due compagni di fila finiamo nell’atrio centrale del centro commerciale, con la terza birra della giornata cominciamo a filosofare, l’economia dell’evento non convince, intorno a noi carrelli della spesa colmi e facce di cacciatori e cacciatrici estinte che prendono le scale mobili, ci sentiamo di nuovo come sedicenni punkabbestia.

Francesco Lomonaco

La Lucania di Nunzio Festa

di Marino Magliani

ImageL’ultima volta che ho dialogato col poeta e scrittore Nunzio Festa, figlio della Basilicata di Scotellaro ed erede di una tradizione che incontra la paesologia di Arminio e la beat anti-yankee, (sempre su questo blog), era appena stato pubblicato per le edizioni Senzapatria il suo romanzo breve Farina di sole. Invece adesso è uscito il suo Basilicata. La Lucania: terra dei boschi bruciati. Guida narrata coi luoghi e il resto, presso le edizioni Golena/Malatempora, già egregiamente presentato tra l’altro dalla nostra Rosa Salvia.

MM: Solitamente nella tua prosa e nella tua poesia, il luogo d’origine, lo spazio di resistenza ed esistenza ha un ruolo molto importante. Ma adesso hai scelto di entrarci pienamente per descriverli. Anche se lo fai spostandoti rapidamente da un punto all’altro della carta geografica lucana, come vedremo. Perché hai sentito quest’esigenza?

NF: Innanzitutto per un estremo atto d’amore per la madre originaria. Sostenuto dal racconto per immagini e giudizi, passami il termine, su pezzettini fascinosi della Basilicata. Pezzi di terra e bellezze già attraversati da artisti e intellettuali, spesso descritte, perfino, e adesso pronte al turismo di massa, oltre che a quello di qualità oppure, diciamo, non invasivo in quanto molto più rispettoso dei posti. Però allo stesso tempo so e “dimostro” che si tratta di pezzi di terra e bellezze, naturali e artistiche, oggetto e soggetto di speculazione, e a volte speculazione rapace. Bellezze che si fanno tavola tante volte imbandita, insomma, per interessi soltanto particolari.

MM: Quindi l’argomento della devastazione dei boschi per mano degli incendi è anche metafora d’altro?

NF: Certo, dici bene. Perché se innanzitutto prendiamo l’argomento in quanto tale, dobbiamo dire che bisognerebbe esser intransigenti con quante e quanti s’occupano del tema ingombrante e desolante della devastazione del paesaggio naturale, con gli esecutori materiali delle azioni e con chi non immagina soluzioni opportune al problema. E questo modo di ragionare, appunto, potremmo industriarci di viverlo su tante altre materie: dissesto idrogeologico, estrazioni petrolifere, spopolamento ecc. Questioni che invece realmente a pochi interessano.

MM: E perché hai scelto questi punti e non altri? Il libro si sviluppa, esplorandoli, soltanto in alcuni punti della Basilicata. Hai deciso di narrare alcuni posti usando lampi letterari, per spiegarceli. Ma perché, in buona sostanza, solamente alcuni dei tanti paesi della tua Lucania hai preso a esempio, a modello?

NF: Spesso è stato un caso, devo ammettere. Tanto che un mio amico, il poeta Valerio Cascini, mi ha scherzosamente bacchettato. Poi ho voluto prendere dei punti della Basilicata che a me, prima di tutto, facessero un certo effetto, e par varie ragioni. Sia per quello che custodiscono, sia per alcune usanze tramandate da secoli. Vedi il Volo dell’Angelo per Brienza (Potenza). Però, se non ho detto del paese natale di Cascini, e devo farne ammenda, purtroppo, visto che lì c’è per altro la tradizione della ‘Ndenna (un antico rito arboreo), non avrei potuto sicuramente dimenticare, al contrario, la mia Pomarico. E non avrei potuto d’altro canto fare a meno di parlare di Matera, della città dei Sassi che, da Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, adesso sta addirittura tentando il percorso utile alla conquista del titolo di Capitale Europea della Cultura dell’anno 2019. Per me Matera non vale più di Castelsaraceno, Pomarico, Miglionico, Montescaglioso o, perfino, del capoluogo di regione Potenza comunque. Il fatto è che la Matera attraversata da Pasolini e Gibson va guardata, come se ne volessimo fare un puntino emblematico dell’intero Sud, e non solo, anche con occhi abituati a contestualizzare il fascino del passato nello scempio che alcuni aspetti della modernizzazione vergata d’interesse particolare ci rendono, restituendoci briciole delle varie comunità. Tipo la cementificazione. Ma non soltanto questo male esiste, certo.

MM: Dici inoltre che si tratta, in un certo senso, d’una continuazione di Birra di paese. Piccolo viaggio nei luoghi che perdono popolazione e prendono birra (Arduino Sacco Editore, Roma). In che senso?

NF: E nonostante nessuno abbia, alla fine, continuato quel discorso, vorrei innanzitutto ricordare. Al contrario, appunto, di come mi sarei aspettato e di quanto avevo auspicato con quella piccola pubblicazione. Il problema più grave è che siamo abituati a essere occasionali, dove si preferisce lo sfogo alla vera riflessione su presente e futuro. Della Basilicata, del Sud. E dell’ex Belpaese tutto.

MM: La lingua è la solita, possiamo però dire.

NF: Tanto è vero, aggiungerei pure, che la versione e-book del libro contiene, in più rispetto all’edizione cartacea, il poemetto Le magnifiche e progressive.

MM: La tua collaborazione con spazi telematici e cartacei ti ha aiutato nello scrivere il Basilicata?

NF: La collaborazione da critico con diversi spazi web e qualche giornale (Il Quotidiano della Basilicata su tutti), per esempio, con la lettura di molti libri di saggisti, scrittori e poeti, è sicuramente servita moltissimo. Alla pari con la collaborazione da cronista in questa regione, tra Matera e provincia, che mi ha permesso di seguire anche professionalmente alcune vicende legate al territorio lucano nella sua interezza. Ma senza tralasciare le relazioni di questa terra e delle sue classi dirigenti, oltre che del suo popolo, con l’esterno.

MM: Ora cosa stai facendo o cosa farai? Andrai avanti leggendo e scrivendo la Lucania?

NF: Per il momento, non più in un libro compiuto. Premesso che sto scrivendo meno in versi, vorrei poter pubblicare un altro romanzo breve che ho chiuso in una prima versione, col titolo forse provvisorio di Frutta, verdure e anime bollite. Che, d’altronde, passa parecchio dalle mie parti. E ho qualche altro piccolo progetto in divenire.

La disfatta del Nord. Corruzione, clientelismo, malagestione

di Filippo Astone, Longanesi (Milano, 2013), pag. 409, euro 18.80.

Con “Italia low cost” (Aliberti), scritto a quattro mani con Rossana Lacava, Filippo Astone sembrava si fosse dato una bella calmata; perché con quell’utile saggio-manuale forniva informazioni appunto, buone e buonissime tra l’altro, a consumatrici e consumatori. In quanto con i precedenti titoli dati alle stampe tutti presso Longanesi: “Gli affari di famiglia” e “Il partito dei padroni”, il giornalista economico Astone aveva invece illustrato perfertamente il quadro italiota dell’affarismo dilagante, dove sono piccoli gruppi di potere che gestiscono e spesso malamente l’Italietta così come hanno contribuito a farla, come, poi, ridipinto la stirpe dei padroni del vapore che il loro capitale l’han ereditato, invece che costruito, e coltivato molto male. Libri, questi due, che di certo  piacere non han fatto a una bella quantità di italici ricci. Ma adesso, con “La disfatta del Nord”, con il quale davvero Astone racconta corruzione, clientelismo e malagestione del Settentrione, abbiamo il colpo definitivo. Siamo, potremmo dire, alla chiusura d’una vera e propria trilogia sul disastro italiano e al terzo e conclusivo, forse, atto della narrazione del fallimento etico, prima che civile, della classe dirigente dell’ex Belpaese. Qui Filippo Astone, con la solita penna brillante e non solamente pungente quanto, almeno, intransigente, che ci tiene in attenzione grazie all’inchiostro della scorrevolezza e diversi espedienti da professionista del mestiere, decide di spiegarci quella che, e forse solamente in questi passaggio e scelta un po’ ce ne doliamo, chiama la “meridionalizzazione” del Nord. Raccontando nei minimi dettagli i nodi di quei lacciuoli di ferro  fieri di tener in simbiosi necessaria, obbligata e, per loro, redditizia, una certa politica con una certa imprenditorialità. Le macro-aree del ragionamento, i luoghi visitati sono il partito Formigoni-Cl-Compagnia delle Opere e la meno potente – ma sicuramente brava a smentire con le azioni i propri pubblicizzati fini di rinascita dei territorio rappresentati – Lega Nord. In apertura del libro il giornalista parte con una curiosità che ai più era sfuggita e tanti avevano nascosto, ovvero che Bossi, prima di presentarsi e proporsi col suo clan quale nuovo volto, aveva avuto problemi giudiziari derivanti da situazioni proprio della ‘vecchia politica’. Ma la Lega con Berlusconi e i loro accoliti portavano la maschera, chiaramente, del politicamente nuovo e santo. Insieme alla forza e alla volontà. Con l’intento sbandierato di “risolvere la questione settentrionale e con essa tutti i mali del Paese”. Allora: “il nuovo potere nordista proclamava di voler cancellare decenni di centralismo, inefficienza e corruzione partitocratica”. Epperò, a strada percorsa, non hanno che, solamente, peggiorato la situazione. Complessiva, d’altronde. Portando in pratica anche a Nord quintali di clientelismo, nepotismo e affarismo (illegale perfino). Fra favori personali e finanziamenti agli amici e agli amici degli amici, e chiaramente parliamo di fianziamenti pubblici. Astone, ragionando su passato e presente dei personaggi e ridandoci le loro storie, oltre che le inchieste nei quali sono stati e sono coinvolti, analizza tutti gli errori e, per molti, la furberia, di personaggi che si chiamano Formigoni, Maroni, Tosi, Ponsellini eccetera eccetera. Ma senza risparmiare una schiera di figure apparentemente minori, certo. Gente sempre al potere o sempre a gestire il potere, magari fintamente dietro le quinte. Filippo Astone da la genesi e la rapace voracità e voluttuosa voglia di soldi e dominio, per esempio, di quella Comunione e Liberazione osannata da tanta destra, oltre ovviamente dai seguaci e affiliati, e da parte della sinistra – e non solamente al centrosinistra legato con le cooperative “rosse”. Con rammarico, forse, Astone relamente con “La disfatta del Nord” sfata il mito dell’efficienza settentrionale. Facendoci capire come quando e perché tutti i mali e le fortune (per pochi) accaduti nel Nord dell’Italia hanno condotto l’intero Paese sull’ordo del precipizio.

NUNZIO FESTA

Basilicata La Lucania: Terra dei boschi bruciati

imagedi Nunzio Festa Una guida critica a luoghi e persone della Basilicata. Perché nella marginalità le bellezze comunque sono tantissime.Con cifra da paesologia e in punta di poesia, l’autore mappa la sua terra d’origine, la Lucania che fu e quella che ancora è oppure potrà essere. Con un “atto d’amore per la madre originaria”, che diventa quindi il racconto di spazi e tempi geografici simbolici buoni al turismo e alla crescita possibile delle comunità; senza dimenticare, dunque, e qui spuntano in maniera emblematica le aggressioni del fuoco da incendio, quando e quanto invece la natura sia sotto minaccia e, soprattutto, attacco. Consigli di luoghi, certamente. Ma perfino, ché li custodisce questa guida eretica e anomala, domande sulle radici e il progresso. Pagine 104 Prezzo  € 9,50 logo_cat_controcultura.png Vai allo shop   Oppure compra l’e-book a € 4,90 ebook.jpg